Parrocchia di Lardaro (Chiesa di S. Michele Arcangelo)

Introduzione

L’intitolazione dell’edificio sacro di Lardaro all’Arcangelo Michele farebbe supporre un’origine molto antica della chiesa, in quanto San Michele era il patrono della corte longobarda. E’ interessante notare che la stessa dedicazione si riscontra anche nella chiesa vecchia di Darzo: Darzo e Lardaro sono situati ai due opposti imbocchi della valle del Chiese, in posizione strategica, quindi in passato potrebbero aver rivestito un importante ruolo di difesa del territorio. Mancano tuttavia i riscontri documentari e archeologici che possano far risalire l’origine delle due chiese all’epoca longobarda.

La chiesa di Lardaro viene nominata per la prima volta in un documento datato 7 aprile 1500, fu una cappella dipendente della Pieve di Bono fino al 1 ° settembre 1606, quando la comunità di Lardaro (dal 1560 autonoma rispetto a Roncone) ottenne l’erezione della chiesa in curazia. La chiesa divenne infine parrocchia nel 1912.

La struttura esterna

La chiesa deve i! suo attuale aspetto ai lavori di ricostruzione eseguiti tra il 1739 e il 1742 da maestranze comasche; l’edificio in origine aveva dimensioni minori e presumibilmente era orientato verso est (ora verso nord). Il campanile sorge in posizione isolata, di fronte alla facciata, sulla costa rocciosa che fiancheggia il lato orientale della chiesa. Il sagrato fino al 1824 ospitava il cimitero.

L’apparato pittorico

L’interno dell’edificio è decorato da pitture murali eseguite nel tardo Settecento: tali pitture sono presenti sulle volte della navata e del presbiterio e sui sopra-altari, al posto delle tradizionali pale dipinte su tela. In seguito ai danni provocati dai bombardamenti durante la Prima Guerra Mondiale, la decorazione pittorica venne restaurata tra il 1919 e il 1920.

Sulle volte del presbiterio sono raffigurate la Crocifissione, la Trinità e l’Arcangelo Michele, mentre sulle volte della navata sono presenti l’Annunciazione, la Natività, la Resurrezione, la Pentecoste e quattro angeli musicanti. Da notare, nella scena della Resurrezione, le fattezze di un volto dipinto sulla manica della veste del soldato addormentato sul sepolcro, probabile autoritratto del pittore.

Gli arredi

II dipinto murale dell’altare maggiore raffigura San Michele, San Giovanni Battista e la Madonna in gloria; anche l’altare laterale di Sant’Antonio da Padova e San Giovanni Nepomuceno presenta pala dipinta su muro, mentre quello di San Rocco e San Carlo dispone di un olio su tela, in parte lacunoso. La cappella della Madonna del Rosario ospita una statua lignea della Vergine col Bambino donata ne! 1850 dal lardarese Gian Luigi Appoloni, professore a Cremona. In occasione del dono la comunità di Lardaro raccolse dei fondi per restaurare la cappella e collocarvi dignitosamente la statua; i lavori vennero eseguiti dal pittore Carlo Trivella. Da notare che la cappella e l’altare del Rosario nella chiesa di Lardaro, e relativa confraternita, sono documentati già nel 1615.

Degni di nota sono la pila dell’acquasanta e il fonte battesimale: la prima, con fusto a colonna e basamento scolpiti in marmo bianco, porta incisa l’anno 1702 sulla base, mentre il secondo reca un’iscrizione frammentaria in cui viene riportata l’epoca di ottenimento del fonte, 1664.

Tra gli arredi della chiesa si nota il pulpito, decorato da intagli lignei vegetali dorati, al cui centro campeggia San Giovanni Evangelista; particolare insolito del pulpito è il trompe l’oeil costituito da un finto braccio sporgente dal bordo che impugna un crocifisso.

Le balaustre lignee

L’arredo più interessante della chiesa di Lardaro è costituito dalle due balaustre lignee, oggi reimpiegate come sostegno della mensa dell’altare maggiore in seguito all’adeguamento dell’edificio alle norme imposte dal Concilio Vaticano II nel 1969. Le balaustre, arricchite da telamoni e cariatidi, presentano basi con riquadri intagliati raffiguranti vari soggetti. 

Si possono riconoscere elementi vegetali, reali e non (un grappolo d’uva, un vaso di fiori, fogliami decorativi, un mazzo di frutta, un fitomorfo), animali (un cane dalla cui bocca esce un germoglio, una volpe o un lupo rivolto verso un volatile, forse un gallo, un insolito uccello, un leone rampante) sacri e mitologici (un calice con l’Eucarestia e un satiro) una torre merlata.

La presenza del leone rampante è stata interpretata come un’allusione allo stemma araldico dei conti Lodron, che avevano dei possedimenti nel territorio di Lardaro. Quest’ipotesi tuttavia non sembra attendibile in quanto il leone blasonato delia famiglia Lodron è rivolto a sinistra col muso frontale, mentre nella balaustra il leone rampante è di profilo e rivolto verso destra. L’elemento più caratterizzante dello stemma Lodron è infine la coda del leone, intrecciata nel cosiddetto nodo d’amore (a forma di 8) caratteristica non riscontrabile nel leone di Lardaro.

Le due balaustre, presentando parti lignee intagliate, sono state attribuite senza alcun fondamento al ronconese Giambattista Polana. Oltre al fatto che di quest’autore, ritenuto a lungo ed erroneamente l’artefice della cassa d’organo e della cantoria della chiesa di Santo Stefano a Roncone (sulla cassa d’organo e la cantoria di Roncone) non si conoscono opere certe, è l’analisi dello stile a dirimere la questione. Dal punto di vista stilistico infatti le balaustre di Lardaro presentano forti analogie con la struttura dei pulpiti delle chiese di Spiazzo e Pinzolo. A tal proposito è significativo il confronto tra le cariatidi delle varie opere. La critica, data i due pulpiti entro il primo ventennio dei Seicento, mentre le balaustre, per la conduzione dei particolari decorativi, arricchiti da elementi fitomorfici, sarebbero di poco successive. Anche il dato cronologico smentisce quindi l’attribuzione al Polana, morto nel 1700. Le opere lignee di Pinzolo, Spiazzo e Lardaro sono dunque opera di un’anonima bottega, plausibilmente locale, operante nelle Giudicane.

Con ogni probabilità le figure scolpite sulle basi delle balaustre di Lardaro seguono un preciso programma iconografico, in cui il sacro si mescola al profano, il reale alla fantasia, l’animate ai vegetale. Purtroppo oggi, complici anche rimaneggiamenti e sostituzioni, il significato della maggior parte di queste figure ci sfugge.


BIBLIOGRAFIA (per le ricerche di Serena Bugna)

  • Archivio parrocchiale di Lardaro – Archivio comunale di Lardaro (Pergamene n. 9 giugno 1615 – Antiche carte n. 34, 18 febbraio 1858)

  • Beppino Agostini,  La Pieve di Condino: vicende storiche e catalogazione del patrimonio artistico nel V centenario della ricostruzione, Storo 1995 (p. 27)

  • Franco Bianchini e Luciano Eccher, Immagini da salvare, Trento 1995 (pp. 27, 28, 92, 89, 94-95,

  • Planano Menapace, Gli apparati lignei, in I Madruzzo e L’Europa, catalogo della mostra di Trento e Riva del Garda 10 luglio-31 ottobre 1993, a cura di L Dal Prà (pp. 416-418, 432, 433)

  • Scultura in Trentino: il Seicento e il Settecento, vol. I-II, a cura di Andrea Bacchi e Luciana Giacomelli, Trento 2003 (p. 531 e pp. segg. – p. 550)